Le città come Roma sono spesso descritte come voragini che inghiottono la capacità di connettersi autenticamente con gli altri. Il loro ritmo frenetico, l’abbondanza disorientante e il continuo stimolo di obiettivi sempre più ambiziosi rendono complicato fermarsi e mettere in ordine i propri pensieri, figuriamoci costruire rapporti significativi. Ed è vero: vivere in una grande città può schiacciare. Eppure, c’è una domanda che sfugge spesso a questo discorso: non stiamo usando queste difficoltà come scusa per giustificare la nostra superficialità spesso legata alla paura? Il cinismo diventa forza, ma guardatele bene queste persone-corazza inscalfibili, sono fragili, spesso molto più di chi non ha paura di ammetterlo.
La verità è che i rapporti non nascono dal nulla. Richiedono impegno, dedizione e, talvolta, un attraversamento coraggioso di prove difficili. Sono proprio queste prove che distinguono una relazione solida da una fugace. Eppure, spesso, è più comodo accontentarsi di legami superficiali, di una socialità che si limita a sfiorare appena le corde dell’anima. Uno strato interno sì, ma fin dove di tocca ed è possibile scappare con i propri piedi.
E così si perpetua un circolo vizioso. Ognuno si sente trascurato, ma nessuno si assume la responsabilità del proprio comportamento. "La società è fredda", si dice. Ma siamo noi la società, e con le nostre azioni contribuiamo a mantenerla tale.
Analizziamo alcuni punti:
La confusione della generazione tra i 30 e i 40 anni
La fascia d’età tra i 30 e i 40 anni vive forse le maggiori contraddizioni. Troppo giovani per abbandonare le aspirazioni della parità completa di genere, ma anche intrappolata nei residui di abitudini patriarcali. Pensiamo al corteggiamento: si lamenta la mancanza di uomini capaci di fare la "prima mossa", ma quando lo fanno, spesso vengono etichettati come invadenti, sfigati o peggio ancora dei maniaci. E questo anche quando si approcciano con educazione e senza gli orrori del cat calling o simili.
L’idea di equità nei rapporti, d'altronde, si scontra continuamente con vecchi retaggi culturali. "Chi paga al primo appuntamento?" Una domanda che porta con sé aspettative, orgogli e insicurezze. Se paga l’uomo, può essere considerato patriarcale; se non lo fa, rischia di essere visto come taccagno. E se è la donna a fare il primo passo? Anche lì si aprono nuovi dilemmi, con uomini che si sentono scavalcati e donne che faticano a trovare un equilibrio tra emancipazione e romanticismo.
La generazione lampo dei 20enni.
Loro nascono con un motore che li rende pronti a capire tutto più rapidamente, ma non hanno tempo: raggiungi un gradino e sei già in ritardo per il prossimo. Con i tutorial che gli forniscono tutto all'istante, vivono l'infanzia sì e no per un paio d'ore. Esteriormente sembrano adulti quando sono ancora poco più che bambini, e il risultato è sempre lo stesso: confusione.
Rapporti amorosi e la modernità: più libertà, meno stabilità
Il patriarcato, con tutte le sue storture, aveva almeno una cosa chiara: i ruoli erano definiti. La donna seguiva l’uomo (addirittura per legge) ovunque, i figli erano un obbligo sociale, e i matrimoni resistevano per forza, più che per scelta. Questo modello era ingiusto e opprimente, ma offriva una sorta di struttura che oggi è andata persa o quanto meno apre gli scenari di tanti problemi.
Nella modernità, i rapporti devono affrontare sfide nuove: entrambi i partner hanno spesso carriere
Responsabilità emotiva: un concetto perduto
Siamo diventati una generazione iper-analizzata, capace di giustificare ogni azione con l’autoconservazione. "Io vengo prima di tutto", si sente dire spesso. E sì, è fondamentale rispettare sé stessi, ma questa frase non dovrebbe essere un alibi per trascurare gli altri. Quando si entra in relazione con qualcuno, a qualsiasi livello, c’è una responsabilità da assumersi. Altrimenti non bisogna cercare relazioni con il prossimo. Vivi da eremita come il buon vecchio nonno di Heidi, ma vedrai che anche lì qualcuno verrà a bussarti alla porta.
Un rapporto, che sia d’amicizia o d’amore, richiede un impegno reciproco. I valori condivisi alla base sono fondamentali, ma altrettanto importante è la capacità di ascoltare, accogliere e donarsi. A quel punto anche le differenze diventano un arricchimento.
Conclusione: non abituarsi alla mediocrità
La società contemporanea sembra giustificare tutto con "è colpa del sistema". Ma la verità è che la società siamo noi, con le nostre azioni e decisioni quotidiane. Se continuiamo a legittimare la mediocrità finiremo per chiamarla normalità.
Il problema dell'altro è che tutti soffrono per la mancanza di valori, non più imposti come una volta, ma sentiti davvero. Eppure, quasi nessuno è disposto a dare, perché è già ferito, intrappolato in un circolo di mostri che generano mostri. E quei pochi, rari individui che ancora cercano di fare la differenza con il cuore in mano, sono spesso quelli che se la prendono più di tutti nei fondelli, quelli che non costruiscono grosse cerchie perché restano autentici. Con buona probabilità li trovi tutti ricoverati al reparto di gastroenterologia, a digerire l’amarezza del loro idealismo. Eppure dai, gli esseri umani hanno ancora tanto da dare, hanno la magia nel cuore, torniamo a guardarci intorno e ce ne accorgeremo. Pensiamo sì sono integro, so fare tutto anche da solo, ma è così poetico riuscire a far entrare qualcuno nella nostra vita, unire due percorsi e condividere un pezzo di vita insieme, non per necessità ma per scelta.
Didascalie foto:
- Due giovani a Piazza San Pietro
- Una signora a Primavalle
- Due manichini alla Rinascente - Tritone
- Due signori a Primavalle
- Un disegno di Ergrossi a Trastevere
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*Tutte le foto presenti sono state scattate me. Puoi vedere altre immagini cliccando qui
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