L’esclusione di Tony Effe dal concerto di Capodanno organizzato dal Comune di Roma ha sollevato un acceso dibattito, ma in questa vicenda la millantata censura diventa un'iperbole per chiacchierare un po'. Quando si parla di atti di questo tipo ci riferiamo ad azioni gravissime capaci di limitare la libertà di espressione; qui, invece, siamo di fronte a una scelta amministrativa. Tony Effe, come qualsiasi altro artista, è libero di esibirsi dove vuole, e lo fa ampiamente in circuiti ufficiali: dalla radio alla distribuzione con una major, la sua musica circola e raggiunge un pubblico vasto, non è certo nascosta nella nicchia dell'underground. Tuttavia, i suoi testi, nel contesto di un evento pubblico come quello di un concerto di Capodanno, diventano una scelta discutibile, che non può prescindere dalla responsabilità di chi organizza un evento che coinvolge tutta la cittadinanza.
Finché le persone scelgono di assistere ai suoi concerti, questa è una loro libertà (libertà e censura come fanno a convivere?) Ma quando è il Comune di Roma a selezionare gli artisti per una manifestazione aperta a tutti, la scelta deve tenere conto della pluralità di opinioni e sensibilità della comunità. Il rapper, selezionato per la sua popolarità, è stato escluso dopo le tante critiche da parte di un'altra fetta pubblico, con il ritiro dell'invito che sembra quasi inevitabile, nonostante la sua grande fanbase.
Si chiama decisione presa per evitare ulteriori controversie, il termine "censura" ha un altro significato. La scelta del sindaco Gualtieri è stata una risposta alla pressione, ma cosa è accaduto dopo? Anche gli due artisti invitati, Mahmood e Mara Sattei, hanno deciso di ritirarsi, alimentando il "caso censura", e da qui il disastro. Ora chiunque salga su quel palco è come se si schierasse.
Gli artisti, come tutti, sono liberi di fare le proprie scelte professionali, ma ora che ne sarà del Capodanno pubblico romano? Visto che alla vigilia della conferenza stampa sono stati costretti ad annullare tutto?
Altro punto. Si parla di danno d'immagine, ma una volta i rapper non erano dei brutti ceffi? Tutto questo polverone dovrebbe far accrescere la sua "street credibility", anche se, ironia della sorte, lui la strada non l'ha mai vista e ascoltandolo parlare sembra pure una persona tutt’altro che priva di educazione e sensibilità (sbiascicature e provocazioni a parte). Al massimo, potremmo definirlo furbo, perché ha capito benissimo che questo atteggiamento da gangsta è la formula che fa fruttare montagne di soldi.
La morale di questa vicenda? Un caso che nasce dal nulla, e che nel nulla cresce fino a diventare un gigantesco carnaio, con conseguenze che ricadono non tanto sugli artisti, ma sul pubblico e gli organizzatori che si vedono privato di un evento che avrebbe potuto essere festoso.
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*Immagine creata da me
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