Nel primo giorno dell’anno a Roma, tra la miriade di eventi proposti dalla rassegna CapodArte, ho scelto di immergermi nel concerto del Quintetto Ortigia all’Ara Pacis. In un momento in cui la città era ancora avvolta dai festeggiamenti, questa esperienza ha offerto una pausa intensa, un’occasione per connettermi al monumento, non più solo da ammirare e comprendere, ma da vivere nella sua essenza.
L’Ara Pacis, d’altronde, custodita nella teca progettata da Richard Meier, è già di per sé un luogo di dialogo che unisce l’antichità e il moderno. Oggi, grazie alla musica e a questa fruizione diversa, è stato aggiunto il presente. L’interazione tra le diverse architetture ne amplifica la forza evocativa, mentre le composizioni di Mozart, Morricone e Rota, interpretate dal quintetto, sembrano prendere vita, facendo risuonare lo spazio al ritmo delle note.
Gli occhi lucidi arrivano quando i musicisti, con l’intensità delle loro esecuzioni, danno vita al tema di
Fuori, la città, ancora frenetica dopo i festeggiamenti, pulsava di vita. Ma all'interno, questo luogo offriva una sensazione di tempo sospeso. Il caos della quotidianità sembrava un film muto, e in quel momento ti sentivi avvolta da un'atmosfera di calma irreale, quasi terapeutica.
Il concerto, senza un vero palco e con i musicisti disposti tra il pubblico in cerchio, creava un legame diretto e immediato. L'intimità dell’esperienza faceva sembrare che una musica tanto poetica, in un luogo solenne come questo, non fosse più un evento straordinario, ma un gesto di normalità quotidiana. E alla fine, ammettiamolo, ti senti privilegiata a poter vivere così il primo giorno dell’anno.
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