L’Illusione dell’Omologazione: Tra Consumo, Identità e Apparenza

di Giulia Palummieri

L'evoluzione delle città ha ridotto il divario materiale tra le zone centrali e le aree meno privilegiate, almeno in superficie. Se un tempo esisteva una netta separazione tra chi viveva in quartieri esclusivi e chi abitava in luoghi isolati e privi di servizi, oggi quella distanza si è attenuata, soprattutto per le nuove classi sociali. Le infrastrutture hanno abbattuto la ghettizzazione delle periferie, l'istruzione ha esteso le opportunità a chi prima ne era escluso e il mercato fast ha uniformato l'accesso ai simboli di status. Ma tutto questo ha davvero appianato le disparità o ha solo creato una nuova forma di stratificazione meno visibile ma ugualmente rigida?

Pensiamoci: Un tempo, sedersi a un tavolo con vista sulla bellezza eterna era prerogativa di una ristretta élite. Oggi, grazie a un sistema che mercifica l’apparenza, anche chi proviene da contesti meno agiati può farlo. L’abbigliamento non è più un confine netto: la moda ha creato versioni accessibili di capi un tempo irraggiungibili, mentre lo stile di vita si è uniformato almeno in alcuni aspetti esteriori. Il consumo ha livellato le superfici,  ma sotto 

questa patina di somiglianza le differenze restano scolpite nell’esperienza, nel vissuto e nelle reti di opportunità a cui si può accedere.

E' reale questa democratizzazione? Oppure l’eccessivo contatto con un mondo non completamente compreso nelle sue radici finisce per generare malessere o imporre nuove regole? Perché, ammettiamolo, se le abitudini di consumo e l’accesso a determinati spazi si sono livellati, il capitale sociale ed economico continua a tracciare confini invisibili. Frequentare gli stessi locali o poter discutere con disinvoltura di arte e politica non significa avere lo stesso peso nella società. E forse non lo vuoi neanche tu nella sostanza.

C’è poi il fenomeno inverso: Il figlio del privilegio che si appropria di estetiche e atteggiamenti di chi vive ai margini, adottando pose ribelli e uno stile che richiama le periferie difficili. Questo scimmiottamento non è mai un reale avvicinamento alle difficoltà di chi non ha scelta, ma un gioco che può essere abbandonato in qualsiasi momento senza conseguenze. Se chi proviene da contesti svantaggiati deve faticare per essere accettato nei circoli privilegiati, il ricco che si veste da outsider non verrà mai realmente escluso. Anzi, la sua trasgressione viene letta come fascino, mentre la stessa estetica su chi non ha alternative viene percepita come segno di rozzezza. Un nonsense che fa quasi tenerezza.

E quindi, alla base di tutto rimangono domande irrisolte: Bastano valori condivisi e uno stile di vita omologato a colmare il divario tra le classi? Il passato, l’ambiente di provenienza e le opportunità effettive continuano a tracciare confini? Forse le disuguaglianze strutturali non sono scomparse, si sono solo travestite da uguaglianze formali. Se queste ultime si fermano alla superficie, il conflitto sociale resta sotterraneo, pronto a riemergere alla prima crepa del sistema. Nel 2025 a che punto siamo? Parliamo di abbattere i confini nel mondo, ma ancora ci facciamo la guerra nella stessa città, tra Roma nord e Roma sud, tra quartiere e quartiere.


Didascalie:

  1. Terrazza delle Cinque Lune (Ponte)
  2. Piccioni al bar Dubbini (Balduina)
  3. Due sedie al Bronx (Primavalle)

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*Tutte le foto presenti sono state scattate me. Puoi vedere altre immagini cliccando qui  

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