Rogo di Primavalle: 52 anni di silenzio, memoria e giustizia negata

Di Giulia Palummieri

Il 16 aprile 1973, un attentato incendiario sconvolse Roma e l’Italia intera: due fratelli, Virgilio e Stefano Mattei, rispettivamente di 22 e 10* anni, morirono tra le fiamme nella loro abitazione, un piccolo appartamento di 40 mq in via Bernardo da Bibbiena, a Primavalle, dove vivevano in otto. Il rogo, appiccato alle tre di notte da militanti di Potere Operaio, movimento della sinistra extraparlamentare, mirava a colpire Mario Mattei, segretario locale del MSI e padre delle vittime. I responsabili, identificati in Achille Lollo, Manlio Grillo e Marino Clavo, furono condannati in contumacia; Lollo, anni dopo, ammise pubblicamente il proprio coinvolgimento, ma si discolpò dall'uso della benzina che fece degenerare l'atto, a detta sua solo intimidatorio. Dichiarazioni che lasciarono così numerose incertezze sulla dinamica esatta dell'accaduto e sui reali esecutori.

Quel crimine atroce, infatti, fu una delle pagine più drammatiche nella stagione degli anni di piombo, dimostrando fino a che punto la lotta politica potesse sfociare in barbarie. Ma la tragedia non fu solo un episodio di sangue: divenne terreno di uno scontro ideologico che travalicò il fatto in sé. A destra, venne strumentalizzata come simbolo dell ‘odio comunista’; a sinistra, prevalse spesso il silenzio, con alcuni settori radicali che si rifiutarono addirittura di condannare l’attentato. Questo clima alimentò le divisioni e acuì i conflitti tra le varie fazioni.

Da subito, dunque, la vicenda divenne oggetto di strumentalizzazione. La morte dei due fratelli non trovò mai una commemorazione univoca in grado di unire il Paese nel ricordo delle vittime, e la giustizia non arrivò mai. I colpevoli, rifugiatisi all’estero, eludirono le condanne e, nel 1978, le sentenze caddero per il decorso del tempo. Un vuoto di verità che ha marcato, per decenni, le vite dei familiari delle vittime, dei sopravvissuti (in quell'appartamento vivano in otto)  e non solo.

Oggi, a cinquantadue anni di distanza, il murales commemorativo sarebbe potuto essere un'occasione per una riflessione sincera, ma, come in precedenza, è diventato terreno di nuove beffe, della famosa acqua che arriva al proprio mulino e della mancanza di rispetto per il dolore privato e collettivo. La politica, ancora una volta, ha fatto propria la tragedia, e torna inevitabilmente la domanda: 'Che senso ha?' La famiglia Mattei, già segnata da un lutto insopportabile, si è dissociata dalla cerimonia organizzata da Fratelli d'Italia, chiedendo la rimozione del murales, in quanto ritenuto inadeguato al loro desiderio di verità e di rispetto.

Se il ricordo non è accompagnato dall’impegno concreto per la giustizia, per la sua memoria e per migliorare il futuro, il rischio è che resti solo una vuota facciata riempita da una bella opera, significativa sì, ma non come dovrebbe. E così Virgilio e Stefano sono tornati a casa, ma continuano a guardare la tragedia con gli stessi occhi.


[*Quasi tutti le fonti indicano Stefano Mattei come un bambino di 8 anni, ma ne aveva 10 come racconta Giampaolo Mattei (fratello) nel libro:"La notte brucia ancora"]

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*Tutte le foto presenti sono state scattate me. Puoi vedere altre immagini cliccando qui  

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