Bastogi, un anno dopo l’incendio: quando la comunità sostituisce lo Stato: cantiere sociale e crowdfunding
A oltre un anno dall’incendio che ha colpito la palazzina F dell’ex residence Bastogi, nella periferia nord-ovest di Roma, il quartiere vive ancora in condizioni di abbandono. Le fiamme, nel marzo 2024, avevano distrutto un appartamento, compromesso gli impianti e lasciato l’intero edificio senza servizi essenziali. La risposta delle istituzioni comunali e municipali è stata assente, lasciando dietro di sé il peso di promesse disattese. Di fronte a questo vuoto, i residenti hanno scelto di non restare spettatori: è nato così il “cantiere sociale”, un progetto dal basso sostenuto da Fillea CGIL, Nuove Rigenerazioni Lazio, Nonna Roma e Aurelio in Comune. Un’iniziativa che ha avviato lavori di messa in sicurezza, dal ripristino dell’elettricità al recupero delle parti comuni, riaffermando il diritto a vivere in un ambiente sicuro e dignitoso.
Il “cantiere sociale” non è solo una soluzione operativa, ma una scelta politica: un atto di resistenza
Nel silenzio istituzionale, Bastogi parla a voce alta. Non si cerca assistenza, ma responsabilità. Non si reclama carità, ma giustizia. L’obiettivo è chiaro: aprire un tavolo permanente con il sindaco e gli organi competenti, per avviare finalmente una strategia di lungo periodo che superi la logica dell’intervento tampone.
A rafforzare l’iniziativa è partita anche una campagna di crowdfunding (clicca qui), pensata per sostenere economicamente i lavori già avviati e quelli ancora necessari. La raccolta fondi ha sì una funzione pratica, ma anche simbolica: è un invito alla cittadinanza tutta a partecipare, a sentirsi parte di un processo collettivo che mette al centro l’idea di una città solidale e inclusiva.
In un’Italia segnata da crescenti disuguaglianze, dove le periferie vengono spesso sacrificate sull’altare della retorica, l’esperienza di Bastogi racconta un’altra possibilità: quella di una cittadinanza che si organizza, che resiste, che rivendica il proprio posto nella città. Un gesto di autodeterminazione che chiama alla responsabilità chi amministra e ricorda a tutti che nessuna democrazia è piena se esclude qualcuno.
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