Primavalle: una petizione per riqualificare il Parco Anna Bracci. Ma qual è la storia dietro quel nome?

di Giulia Palummieri

Nel cuore di Primavalle, un’area verde da tempo trascurata torna al centro dell’attenzione grazie a una petizione per la riqualificazione del parco Anna Bracci, promossa dal Circolo “Cecinelli Panzironi” di Rifondazione Comunista e dall’Unione Inquilini (firma qui) L’intento è restituire valore e fruibilità a uno spazio che deve tornare a servire veramente chi lo abita. Il quartiere ne ha bisogno, lo vuole e combatte per riaverlo.

Ma quel nome, Anna Bracci, non è solo un’intestazione: dietro si nasconde una delle pagine più cupe della cronaca romana nel carnevale dell'anno giubilare 1950.

Anna Maria Bracci, detta Annarella, era una bambina di appena 12 anni, nata il 15 dicembre 1937, figlia di Marta Fiocchi e Riziero Bracci. Marta Fiocchi proveniva da una famiglia piccolo borghese, una di quelle che nell'Ottocento venivano definite "generone", mentre Riziero Bracci era un umile lavoratore occasionale. Nel 1933, dopo un matrimonio che suscitò il disappunto della famiglia Fiocchi, i due si trasferirono a Primavalle, lasciando San Lorenzo a seguito dei devastanti bombardamenti del 19 luglio 1943 che colpirono il quartiere.
Annarella aveva anche cinque fratelli: Ludovico, Mariano, Teresina, Bruno e Giulio. Vivevano all'interno 27 della scala L di Via Lorenzo Litta n.29 al Lotto 25.

La vita, quindi, non partì in modo semplice. E una volta arrivati nella borgata, il suo quotidiano non migliorò di certo. Primavalle, infatti, all'epoca ancora in gran parte rurale e mal collegata con la città, era diventata un "ghetto" per tutti coloro che Mussolini aveva deciso di tenere nascosti, lontano dalle luci della capitale. Un luogo ben distante dal quartiere di oggi, caratterizzato da agglomerati di case fatiscenti (se c’erano) poca illuminazione e fogne a cielo aperto. Una vera e propria lotta per la sopravvivenza minima, fatta di miseria, disoccupazione, violenza e nessuna (o quasi) possibilità di riscatto.

Annarella aveva trascorso i primi anni di vita in un istituto religioso, dove trovò rifugio dalle tensioni familiari e dal degrado delle dinamiche di Primavalle. Questo almeno fino al 1948, l'anno in cui tornò a casa. Lo scenario è devastante: Marta, sua madre, per fame e solitudine aveva cominciato a prostituirsi occasionalmente, e le relazioni extraconiugali cominciavano a non contarsi più. I rancori con il marito Riziero, a questo punto, erano ormai evidenti, e il matrimonio tra i due giunse presto al termine.
Annarella, testimone di queste relazioni e dei loro turbamenti, aveva assistito anche a un aborto procurato alla madre, dopo che era rimasta incinta del suo amante, Adamo Moroni, uno spazzino del luogo. Un evento che la segnò profondamente, soprattutto perché fu costretta a testimoniare contro di lei in tribunale, quando il marito la denunciò e andò via di casa portando con i sé i due figli più piccoli.

A soli tre giorni da questo fatto, il 18 febbraio 1950, Annarella scomparve nel nulla. La bambina, nel tardo pomeriggio, era uscita di casa per comprare dell'olio e del carbone per cucinare e condire la cena, un paio di broccoli, ma non fece mai ritorno. La madre denunciò la scomparsa, ma la polizia non si scomodò e le ricerche iniziarono solo sei giorni dopo, quando la borgata, infuriata per l'indifferenza delle forze dell'ordine, protestò fino a far arrivare l'episodio ai media. A quel punto divenne un caso nazionale: l'Italia intera scoprì l'orrore di questi luoghi dimenticati. Anche i grandi registi ne parlarono e portarono in arte ispirata pellicole come "Appunti su un fatto di cronaca" (1951) – un documentario diretto da Luchino Visconti – e "Ai margini della metropoli" (1953) – un film diretto da Carlo Lizzani per citarne alcuni.

Ma fu un ricco barone, Melodia di Trani del Sovrano Ordine di Malta, a portare involontariamente a termine la vicenda. Commosso dall'accaduto, promise una ricompensa di 300.000 lire a chiunque ritrovasse la bambina, e di lì a poco Mariano, il fratello della piccola, rinvenne delle mutandine in un campo e sostenne che fossero della sorella. Poi fu il turno del nonno, Melandro Bracci, che vide la nipotina in sogno e guidò la polizia in zona La Nebbia nel terreno di Checco il gobbo, dove c'era il pozzo apparso nella sua visione.

Il 3 marzo, proprio nel luogo indicato, fu ritrovata la povera Annarella, buttata agonizzante dopo essere stata colpita da un’asta chiodata e aver subito un tentativo di violenza sessuale (il corpo era ormai in avanzato stato di decomposizione, senza più la gonna e le mutandine). Il nonno ricevette la somma promessa ma poi la perse in un investimento sbagliato. Il ritrovamento del corpo, avvenuto con queste particolari circostanze e in una zona isolata e lontana dalle vie principali, portò a una serie di interrogativi che avrebbero sollevato più di un dubbio sui fatti. Ma siamo nel primo post fascismo: la mentalità resta quella, l’ordine andava ripristinato e si doveva fare subito. Tutta Italia ormai aveva gli occhi puntati su Primavalle e le borgate. Al funerale della bambina, pagato interamente dal Comune di Roma, parteciparono, si dice, più di 200.000 persone, la sua bara fu portata in una carrozza trainata da una quadriga di cavalli bianchi e tutte le massime autorità cittadine erano presenti. Ma questo non bastò a dare pace ad Annarella.

A gettare ulteriori ombre sulla vicenda fu il coinvolgimento di Lionello Egidi, un uomo che viveva con sua moglie e tre figli nello scantinato dei Bracci. Un soggetto già conosciuto per le attenzioni sui minori e che fu l’ultimo a vederla viva. Egidi, soprannominato “il biondino” per via dei suoi riccioli cenere, aveva dato dei soldi alla bambina per comprare delle castagne, fatto accertato perché furono ritrovate nello stomaco della vittima. Ma bastava questo per dichiararlo colpevole senza prove certe? All’epoca sì: serviva un colpevole. E nonostante la moglie, Teresa Lemma, fornì un alibi dicendo che il marito era a casa con lei al momento della scomparsa, la polizia lo arrestò.

Sotto tortura, il 10 marzo del 1950  si incolpò dell’omicidio, ma la confessione, ottenuta con metodi violenti e disumani, sollevò ulteriori interrogativi. L'accaduto suscitò l’indignazione della comunità, e la
vicenda finì per diventare un simbolo dei soprusi perpetrati dalla polizia. Tanto che, dopo l’avvenimento, fu cambiato il codice di procedura in Italia: per il fermo giudiziario si passò dai 7 giorni anche senza avvocato a un massimo di 48 ore con notifica obbligatoria a un difensore. In seguito, Egidi ritrattò la sua confessione, sostenendo che fosse stata estorta con ferri roventi sul corpo, sale sulle ferite, pestaggi e acqua bevuta fino a scoppiare. E nel febbraio del 1952 la Corte d’Assise di Roma lo assolse per insufficienza di prove.

Durante l’attesa per il processo d’appello, l’uomo fu denunciato da una ragazzina a una festa popolare sull’Appia Antica e per questo fu condannato a tre anni e tre mesi. Questo nuovo crimine portò la sentenza di secondo grado ad avvalorare l’accusa di omicidio per il caso Bracci e fu condannato così a 26 anni e otto mesi di carcere. 

La parola “fine”, però, non era ancora stata scritta. Egidi ricorse in Cassazione e, nel 1961, l’Alta Corte lo assolse definitivamente. Sempre nel 1961, però, fu nuovamente accusato di violenza, questa volta su un bambino di otto anni. Condannato a otto anni di reclusione, pena poi ridotta a sei, tornò in carcere e ne uscì nel 1967. Ma anche questa condanna non implica per forza il fatto che abbia ucciso lui la piccola Bracci. Il caso resta quindi irrisolto. E un tragico epilogo colpì tutta la famiglia della piccola: la madre, ormai sola, si trasferì al Tiburtino III e morì di cardiopatia dovuta alla sifilide; Mariano, ammalatosi di cancro, morì in ospedale nel ’51, poco dopo l’omicidio di Annarella; nello stesso anno morì anche la figlia Teresina. Tutti loro preceduti da Ludovico, morto nel ’44. Del padre, nessuna traccia. Una storia infelice da ogni punto di vista, quella dei Bracci.

La piccola Annarella riposa nel cimitero del Verano, ricordata da una targa nella cappella gentilizia di Raniero Marsili. La sua memoria è stata onorata anche nel 2011, con l’intitolazione di un parco a suo nome, quello citato in apertura, e nel 2017, con la realizzazione di un murale in zona Pineta Sacchetti (via Pio IX angolo via Silvestro II)

Oggi, a distanza di 75 anni, la storia di Annarella continua a rappresentare un simbolo del mistero e delle ombre che ancora avvolgono Primavalle e i tempi. La sua morte ha segnato un’epoca.


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Didascalie:

  1. Parco Anna Bracci - Primavalle - Foto Scattata da me.
  2. I lotti di Via Lorenzo Litta - Primavalle - Foto scattata da me.
  3. Murales dedicato ad Anna Bracci, via Pio IX angolo via Silvestro II, Pineta Sacchetti. Opera di Pier The Rain con versi di Pietro Lucari impressi da Luca Cioffi - Foto scattata da me.
  4. Pagina di giornale - Foto Primavalle in Rete - primavalleinrete@wordpress.com
  5. Pagina di giornale - Foto Primavalle in Rete - primavalleinrete@wordpress.com
  6. Il pozzo, oggi scomparso, dove fu ritrovato il corpo di Anna Maria Bracci. All’epoca si trovava nella località La Nebbia, tra le attuali via Bardineto, via Stellanello e via Cogoleto - Primavalle - Foto Primavalle in Rete - primavalleinrete@wordpress.com
  7. Il funera di Anna Maria Bracci - Primavalle - Foto Primavalle in Rete - primavalleinrete@wordpress.com
  8. Borgata Primavalle - Album di Roma

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Fonti:

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