Oltre il palco, dentro la città: il Roma Borgata Festival a Primavalle

 Tempo di lettura: 4-5 minuti

di Giulia Palummieri 

C’è un istante, in ogni forma d’arte, in cui la rappresentazione cede il passo alla rivelazione. È il momento in cui il palco non è più confine ma passaggio, e ciò che accade sopra risuona sotto, dentro, attorno. A Primavalle, con la nuova tappa del Roma Borgata Festival, questo momento si è manifestato più volte, in modi diversi e radicali.

Non si è trattato semplicemente di portare spettacoli in periferia, ma di vincere una sfida, di riconoscere che esistono territori dove l’arte può riaccendere meccanismi sopiti, quelli essenziali della propensione alla bellezza, quelli che qui ti impongono di vivere come un "di più", un lusso, una frivolezza. In una realtà spesso letta attraverso codici riduttivi, il Festival ha aperto crepe nell’invisibile, lasciando emergere ciò che solitamente resta ai margini: presenze, desideri e voglia di cambiamenti.

A inaugurare questa tre giorni è stato Operai all’Opera di Fabio Morgan, al Parco Commendone: una riscrittura del Rigoletto in cui i riflettori si spostano dalle figure liriche ai lavoratori del dietro le quinte. Macchinisti, attrezzisti, elettricisti diventano voce narrante, sguardo critico e carne viva di una rappresentazione spogliata della sua sacralità d’élite. Lì, nell’arioso spazio verde, tra gli sguardi assenti alle finestre di molti operai come loro, e davanti a chi ha scelto di esserci, dare voce a chi solitamente resta nell’ombra assume un significato profondamente simbolico e identitario. Il finale, poi, con la sua ironia tagliente quanto riflessiva, ha sorpreso tutti. Non svelo altro, ma la povera Gilda se lo è proprio meritato un po’ di riscatto a distanza di tutto questo tempo.

Dopo una prima giornata viva e partecipata, la manifestazione ha proseguito il suo percorso con nuove immersioni sensoriali.

Arriva Intus dello Steam Duo: un’opera vivente, in cui il circo diventa linguaggio dell’inconscio. Beatbox, verticalismo e manipolazione di oggetti compongono una grammatica delle ombre interiori: ogni gesto parla di fragilità, metamorfosi e demoni che si sublimano in energia creativa. Più che uno spettacolo, un rito. Un incontro che ha lasciato nei presenti domande, rivelazioni o “semplicemente” un momento di compagnia acrobatica — a seconda dello sguardo con cui ciascuno ha partecipato.

A pochi passi, l’energia fisica lascia spazio a un abbraccio sonoro, dove la musica classica avvolge il parco, preludio al concerto omaggio a John Williams. Violoncello e pianoforte, suonati rispettivamente da Alice Romano e Giordano Maselli, evocano mondi cinematografici e sogni collettivi, incastonati tra le linee razionali dei palazzoni del cosiddetto Bronx. Un contrasto apparente, inedito per abitudine, capace di incantare i presenti e di sciogliere magia nell’aria.

Non meno incisiva, la passeggiata narrata da Tiziano Panici (Dominio Pubblico) e Gianluca Chiovelli (Primavalle in Rete), musicata dalla voce intensa e ruvida della cantautrice Giulia Anania, è stata un’immersione nel tessuto sociale del quartiere: la sua anima, le sue ferite, la sua storia. Un’occasione che ha svelato il senso profondo di comunità consolidato nei luoghi vissuti e non attraversati. La camminata tra le vie è diventata così un racconto urbano in cui ogni angolo vuole farsi ascoltare. E di racconti ce ne sono davvero tanti. Ora lo sa anche chi ha sfidato il caldo di una mattina di luglio, venendo da parti diametralmente opposte della città — portando con sé persino un pappagallo.

Nel pomeriggio, il festival torna al Parco Commendone con Ca' Mea della funanbolica e flessuosa Compagnia Aga, un’intensa performance di circo contemporaneo che ha raccontato l’identità femminile come un processo fluido di frattura e ricomposizione, mostrando tensioni intime attraverso un linguaggio corporeo potente e poetico.

A seguire, il gran finale con Cento Voci, il progetto corale a cappella ideato dal collettivo Le Mani Avanti e diretto da Gabriele D’Angelo, che ha trasformato lo spazio pubblico in un’arena sonora immersiva, finendo tra il pubblico e abbattendo ogni barriera tra artista e spettatore. Un’esperienza amplificata di canto che lega impegno, bellezza e potere dell'unione.

Ma ciò che davvero conta non è la sequenza degli eventi. A Primavalle, il Roma Borgata Festival ha dimostrato che la cultura non è qualcosa che va donato distrattamente una tantum, ma qualcosa da attivare. È già lì, sedimentata nelle persone, nei luoghi, nei vuoti. Basta un gesto, uno spazio aperto, una scintilla perché si accenda.

In un’epoca in cui la città si frammenta in retoriche, paure e fratture, questo appuntamento– con il suo ascolto profondo e la sua messa in gioco coraggiosa – ricorda che la cultura ha ancora il potere di connettere. Non è decorazione. È azione. È presenza.

E Primavalle, per tre giorni, non è stata periferia. È stata centro di senso.


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*Tutte le foto presenti sono state scattate me. Puoi vedere altre immagini cliccando qui  

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